Foto: Viminale & Facebook
Più di ogni altro leader politico, Matteo Salvini ha saputo ritagliarsi un posto al sole nei media italiani dopo l’insediamento dell’attuale Governo. La sua spregiudicatezza sui social media gli ha permesso di rubare la scena anche sui media tradizionali ad avversari e compagni di coalizione. Da cosa dipende questo successo? Quali possono essere le conseguenze a lungo termine della sua azione? Analizziamolo assieme brevemente in questo post.
Il pubblico di riferimento
La prima e più evidente caratteristica della comunicazione di Matteo Salvini è il saper inviare messaggi sopra le righe ed estremi, pur senza suscitare l’indignazione del proprio pubblico. Interpretare questo fenomeno come indottrinamento dell’elettore è un’analisi facile ma superficiale e non spiega la pervasività e il successo del suo messaggio. Per capire meglio come mai il leader della Lega riesce a far passare messaggi comunemente non accettati dalla società civile nel discorso mainstream, bisogna capire il suo pubblico di riferimento sui social e il modo in cui viene sfruttato per raggiungere un pubblico più ampio.
Il messaggio di Matteo Salvini si rivolge principalmente a quelli che possiamo definire come i “buoni padri di famiglia” della società conservatrice italiana. Un uomo ultraquarantenne e con una rassicurante pancetta da mangiatore di pastasciutta e frequentatore di grigliate, che ha a cuore la sua famiglia e il benessere della sua tribù. Non particolarmente colto e non necessariamente settentrionale, può essere un dipendente come un libero professionista, fa parte delle frange più basse del ceto medio, quelle che percepiscono maggiormente la crisi economica e pensano di esserne state colpite maggiormente. Mastica il dialetto e parla un italiano di registro medio, è recettivo a quelli che percepisce come messaggi pragmatici e alla politica orientata alle soluzioni più che alle idee. L’efficacia di questa scelta sta nello scegliere come collante del proprio pubblico un sentimento di appartenenza che è culturalmente radicato negli usi e nei costumi della società italiana tradizionale e che quindi è qualcosa in cui molti si riconoscono, anche al di fuori dell’elettorato tipico della Lega. Si tratta di comportamenti e usi che sono già accettati dalla nostra società e che fanno da cavallo di Troia per messaggi più estremi. Inoltre, il “padre di famiglia” a cui si rivolge Salvini, è una persona che ha un ruolo di influenza sugli altri membri della propria famiglia e spesso anche su una piccola cerchia di seguaci, e che da loro viene percepito come autorevole. Questo aiuta anche chi è ai margini di queste reti sociali a recepire il messaggio come accettabile e normalizzato.
Il messaggio buonista /cattivista
Un altro punto a favore della comunicazione di Matteo Salvini è il tipo di messaggio che promuove e i modi in cui lo promuove. Matteo Salvini, nella forma, è raramente sopra le righe. Le sue comunicazioni “cattiviste” risultano agli occhi del suo pubblico pragmatiche e sostanziali, anziché crudeli, perché sono spesso espresse con una patina di pietismo che va a toccare profondamente il “buon padre di famiglia”. E quindi l’immigrato non è necessariamente un invasore, ma vittima anche lui di un complotto dei poteri forti per sfruttarlo, oppure solo chi delinque va punito, “noi non ce l’abbiamo con chi viene qui per lavorare”. Questo tipo di retorica è particolarmente efficace nel mascherare i messaggi più estremi, ed è potenziata da una sapiente opera di selezione delle notizie ad uso e consumo di questo tipo di comunicazione. Quindi non tutti gli immigrati sono malvagi, ma le notizie che compaiono sui profili social di Matteo Salvini riguardano nella quasi totalità immigrati che delinquono. In questo modo, chi si informa attraverso i suoi profili social ottiene un’immagine parziale e distorta della realtà e che aumenta l’effetto di paura verso l’esterno (una naturale risposta nei periodi di crisi), rendendolo preponderante e amplificando l’efficacia del suo messaggio, pur mantenendo una patina di rispettabilità necessaria perché questo messaggio diventi accettabile dalla società civile.
La figura del leader
Sotto il punto di vista dell’esaltazione della figura del leader, Matteo Salvini usa una strategia non difforme, con qualche distinguo, dalla già efficace strategia che prima di lui adottava Silvio Berlusconi: quella del leader in cui ci si può immedesimare. Già Beppe Severgnini (e probabilmente altri) aveva analizzato il fenomeno di come la comunicazione di Berlusconi sfruttasse “la pancia degli italiani”, proponendo un ideale di uomo simile all’uomo comune ma esaltato dal denaro e dal potere, un orizzonte da raggiungere attraverso l’imitazione. In questo, ovviamente è riconducibile alla più tradizionale propaganda del periodo fascista (vedi: Eros e Priapo di Carlo Emilio Gadda).
Salvini propone un differenziale a questa strategia già rodata. Lui non è un ideale da raggiungere, nella sua retorica di foto di grigliate e selfie nei luoghi del potere: Matteo Salvini è l’uomo comune, portato nelle stanze dei bottoni, senza l’intermediazione di un percorso di crescita o acquisizione del potere. In questo senso, Matteo Salvini come leader avvicina ed esalta l’uomo comune, rendendo ancora più vendibile la bugia che l’ottenimento di quel tipo di potere sia possibile per chiunque e senza sacrificare la propria normalità, o senza dover lavorare duro. Il potere diventa quasi un bene di consumo a cui l’uomo qualunque può accedere, anche senza grandi mezzi, ville, veline e barzellette. Questa rappresentazione del leader abbatte le barriere con il popolo, facendo sentire il potere a portata di mano a chiunque e coinvolgendo anche un pubblico che normalmente si sentirebbe alienato dalla politica e che così invece si sente coinvolto e sollevato dall’irrilevanza e l’impotenza in cui è costretto dalla distanza con la classe dirigente tradizionale.
Questo permette anche al suo messaggio di penetrare meglio nel suo elettorato, rafforzato da una figura di leader spendibile. Cosa che, ad esempio, il Movimento 5 Stelle non ha, vista la sua natura di Idra, di collettivo con più teste ma senza un reale capo che sappia emergere.
Dai social ai media analogici
Nonostante la patina di accettabilità del messaggio di Matteo Salvini, è chiaro che se si va oltre una prima analisi superficiale, la sua comunicazione è sopra le righe, personalistica e decisamente di rottura. Tutti questi punti contribuiscono a creare l’esca ideale per i media tradizionali (giornali e tv) che in Italia si nutrono prevalentemente di introiti pubblicitari, e quindi dipendono dal numero di utenti che ne consumano a poco prezzo (o gratis) i propri contenuti. Il sensazionalismo della stampa è una delle caratteristiche di questo nuovo panorama mediatico post-digitale (scriverò di più su questo argomento in futuro) e i messaggi della Lega sono per propria natura sensazionalistici.
Se il messaggio si fermasse però agli account social del leader, sarebbe un messaggio mozzato nella sua efficacia, perché resterebbe ad uso e consumo di una nicchia di elettori delusa e disillusa. Il problema è che i messaggi di Matteo Salvini sono ripresi senza particolare filtro dalla stampa tradizionale e dalle televisioni. L’effetto è amplificato dal personalismo della comunicazione, che mostra Salvini come unico interlocutore della Lega, e quindi onnipresente in tv e ormai fenomeno di costume. Questo contribuisce a normalizzare il messaggio e a renderlo pervasivo, perché la maggioranza del pubblico italiano consuma ancora la maggior parte della sua dieta informativa grazie alla televisione (nelle sue varie iterazioni).
La strategia di Governo a fini elettorali
Infine, se andiamo ad analizzare l’operato di questo Governo, al di fuori dei proclami e delle comunicazioni atte ad attirare l’attenzione dei media, un aspetto importante della strategia della Lega emerge. La fascia di “destra” della coalizione di Governo, finora, ha puntato la sua strategia non tanto sulla consegna di risultati concreti, ma sull’acquisizione di consenso in vista delle prossime imminenti elezioni. Fin dall’indomani dell’insediamento di questa coalizione, è stato giudicato da molti abbastanza probabile che la coalizione gialloverde non potesse essere di lunga durata. Matteo Salvini e il suo team di comunicatori hanno saputo sfruttare questa occasione molto efficacemente per imporsi come unico interlocutore di un elettorato che è largamente condiviso con i 5 stelle, e per dare visibilità al proprio messaggio e alla propria “cultura”, facendola passare come preponderante e legittimata dal voto del popolo (cosa che non trova per ora riscontro nei dati elettorali).
Nella pratica, molte delle politiche attuate da questo Governo finora, puntano a esacerbare ed esasperare i legittimi problemi sociali che sono alla base della propaganda leghista. Se si prende come esempio il problema dell’immigrazione, il taglio di risorse agli enti che si occupano di cura e integrazione degli immigrati e dei rifugiati significherà che più persone, esasperate dalle pessime condizioni di vita e incapaci di integrarsi nella nostra società, saranno spinte a delinquere e quindi a rafforzare la propaganda xenofoba in sede di campagna elettorale. Lo stesso vale per i rapporti con l’Unione Europea, portati all’esasperazione da una legge di Bilancio che sembra costruita a tavolino per creare tensioni con i nostri partner politici, creando una trappola comunicativa irresistibile ed estremamente efficace.
In questo modo si sta preparando il terreno per una campagna elettorale esplosiva ed estremamente divisiva, che avrà la Lega e Matteo Salvini come unico interlocutore credibile e forte dell’attuale coalizione di Governo, con buone probabilità di ottenere una posizione preponderante nella prossima coalizione.
Che fare ?
Disinnescare un tipo di comunicazione che crea tensioni nella società ai fini dell’acquisizione di potere può sembrare un ideale nobile da inseguire, e un servizio verso la collettività, a prescindere dallo schieramento a cui si appartiene. Questo perché la polarizzazione politica subita dalla sfera pubblica internazionale negli ultimi anni ha inasprito le tensioni sia interne che internazionali e rappresenta un pericolo per tutti. Il Doomsday clock segnava, all’inizio del 2018, due minuti a mezzanotte, dando un segnale di allerta a livello globale. La situazione, da allora, non è affatto migliorata, al contrario. Non è però facile e non è detto che sia l’unico approccio possibile.
Un approccio possibile sarebbe quello di sfruttare questi meccanismi retorici ad uso e consumo di una coalizione contraria a quella analizzata, riequilibrando la situazione, ma senza risolvere il problema di fondo. Si tratta di un approccio più facilmente attuabile di tanti altri, ma che non cambia la sostanza e cioè che viviamo in tempi fortemente polarizzati e conflittuali.
Un secondo approccio, più difficile e lungo, e probabilmente di difficile realizzazione, richiede la collaborazione di tutte le parti della società civile. L’unico modo di contrastare questo tipo di comunicazione fortemente divisiva e ormai normalizzata è combatterla su due diversi piani. Non parlerò della necessità del cittadino comune di curare meglio il proprio senso critico e la propria dieta informativa, perché non voglio correre il rischio di essere condiscendente e trovo che questo sia stato già detto e ridetto. Ci sono altri due fronti che devono essere chiamati in causa e che hanno un’influenza non indifferente sulla questione.
Sul piano politico, occorre affrontare i problemi che sono alla base del programma e della comunicazione dei partiti populisti, senza nascondersi dietro a un dito e fingere che non siano problemi (se non lo fossero, non farebbero così tanta presa sul pubblico). Sul piano mediatico, bisogna togliere ossigeno a questo tipo di messaggi, mediandoli con un’informazione che sia meno “cassa di risonanza” ideologica, e più fondata nei fatti e nel bene del pubblico di lettori. Bisogna scardinare la dipendenza delle fonti d’informazione dai click, dai grandi inserzionisti, e dalla politica, e restituire la stampa al suo ruolo di servizio per il pubblico. Occorre riavvicinare la politica al cittadino comune e fare più opera di mediazione con la classe dirigente, e questo è un ruolo che nessuno è equipaggiato a svolgere al meglio quanto gli organi di informazione. Il rischio che si corre, se non si riesce a riappropriarsi di questo ruolo, è l’irrilevanza.